La legge di bilancio per il 2023, nell’introdurre misure di “raffreddamento” della
rivalutazione automatica delle pensioni superiori a quattro volte il minimo INPS, non
ha leso i principi di ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza posti a garanzia dei
trattamenti pensionistici.
Lo ha deciso la Corte costituzionale, con la sentenza n. 19 dichiarando non fondate
le questioni di legittimità costituzionale sollevate da alcune sezioni giurisdizionali
regionali della Corte dei conti. Ne da notizia un comunicato dell’Ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale pubblicato sul sito della Consulta.
Secondo la Corte, il meccanismo legislativo non è irragionevole perché salvaguarda
integralmente le pensioni di più modesta entità e, per un periodo limitato, riduce
progressivamente la percentuale di indicizzazione di tutte le altre al crescere degli
importi dei trattamenti, in ragione della maggiore resistenza delle pensioni più
elevate rispetto agli effetti dell’inflazione.
Le scelte del legislatore risultano coerenti con le finalità di politica economica,
chiaramente emergenti dai lavori preparatori e legittimamente perseguite, volte a
contrastare anche gli effetti di una improvvisa spinta inflazionistica incidente
soprattutto sulle classi sociali meno abbienti.
Delle perdite subite dalle pensioni non integralmente rivalutate, del resto, il
legislatore potrà tenere conto in caso di eventuali future manovre sull’indicizzazione
dei medesimi trattamenti.
Fonte: Ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale