Con la sentenza 3497/2025 i giudici della seconda sezione del Consiglio di Stato hanno stabilito che qualora un comune trasferisca ad un terzo la titolarità di un impianto fotovoltaico, il subentrante non ha diritto al mantenimento delle originarie condizioni tariffarie, derivanti dalla mancata applicazione della rimodulazione introdotta dall’art. 26, comma 3, del d.l. 24 giugno 2014, n. 91; poiché l’esenzione dall’obbligo di tale rimodulazione tariffaria, di cui all’art. 22-bis del successivo d.l. 12 settembre 2014, n. 133, si applica solo a enti locali e scuole e non può essere trasferita a un qualsiasi operatore economico unitamente all’impianto, neanche qualora il G.S.E. abbia autorizzato il trasferimento, atteso che tale atto non può legittimare una tariffa più vantaggiosa, che il legislatore ha inteso riservare solo a determinati soggetti (1).
Sottolinea i giudici di Palazzo Spada che l’esenzione dall’obbligo di tale rimodulazione tariffaria, infatti, contenuta nell’art. 22-bis del successivo d.l. 12 settembre 2014, n. 133, si applica solo a Enti locali e scuole e non può essere trasferita a un qualsiasi operatore economico unitamente all’impianto. L’ormai cristallizzato superamento del termine del 30 novembre 2014 stabilito dal legislatore per consentire agli operatori di optare per uno dei possibili modi di rimodulazione previsti, non osta tuttavia a che il G.S.E. accordi un nuovo termine al subentrante per operare la relativa scelta, fermo restando l’obbligo di procedere alla rimodulazione a suo tempo non effettuata. Né a diverse conclusioni può giungersi in ragione del fatto che il G.S.E. ha autorizzato il trasferimento, stante che tale atto non può costituire titolo per beneficiare di una tariffa più vantaggiosa, che il legislatore ha riservato solo a determinati soggetti. La scelta di sottrarre all’obbligo di rimodulazione tariffaria – previsto dall’art. 26, comma 3, del d.l. 24 giugno 2014, n. 91- enti locali e scuole, sopravvenuta nel corso dell’iter parlamentare che ha portato alla conversione, con modifiche, del d.l. 12 settembre 2014, n. 133 (legge 11 novembre 2024, n. 164), la cui finalità neppure risulta chiaramente esplicitata con un’adeguata analisi di impatto, non può essere interpretata in maniera estensiva, sì da creare un duraturo strappo al sistema. Il riferimento alla data di entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 133 del 2004 contenuto nella stessa per segnare lo spartiacque applicativo della deroga costituisce dunque né più né meno che un’indicazione (in verità non particolarmente brillante per formulazione) di diritto transitorio, cui non è in alcun modo attribuibile un effetto di “trascinamento” dell’eccezionale regime derogatorio anche a beneficio di soggetti non rientranti tra quelli cui si è inteso accordarlo. Pertanto solo in ottica di sforzo aggiuntivo messo in campo dal GSE per contemperare le esigenze generali di politica economica e ambientale sottese alla riforma del 2014, con quelle di tutela degli investimenti, al subentrante nella titolarità dell’impianto è accordato un tempo, parametrato su quello previsto dalla regola generale di cui all’art. 26 del d.l. n. 91 del 2014, per effettuare la medesima scelta tra riduzione dell’incentivo con il prolungamento, per ulteriori quattro anni, del periodo di sua erogazione, ovvero affiancamento ad un primo periodo di riduzione della tariffa incentivante di un periodo successivo di suo incremento in «egual misura». Benché il d.l. n. 91 del 2014 facesse riferimento al 30 novembre 2014 (non potendo preoccuparsi di deroghe che alla data della sua approvazione non erano ancora previste), le esigenze di programmazione degli effetti economici della misura della rimodulazione non ne hanno comportato il venir meno. L’autorizzazione al trasferimento dell’impianto che fruiva della deroga, quindi, né in astratto può costituire titolo per beneficiare di una tariffa più appetibile, se il nuovo titolare dell’impianto non rientra nel novero dei soggetti cui la legge la riconosce, né in concreto ha prodotto tale effetto nel caso di specie, giusta la mancanza di indicazioni univoche dalle quali desumere tale volontà da parte del Gestore.
Fonte: Ufficio massimario Consiglio di Stato